interventi della Legge di Bilancio creano caos, così si condanna il commercio su aree pubbliche alla marginalizzazione

Bolkestein: Anva scrive a Governo e parlamentari, “interventi della Legge di Bilancio creano caos, così si condanna il commercio su aree pubbliche alla marginalizzazione”

Gli interventi relativi al commercio su aree pubbliche contenuti nella Legge di Bilancio, ed operativi da pochi giorni, stanno creando il caos nel settore e comporteranno “gravi ed ingiustificabili limitazioni all’attività di impresa”, condannando le “imprese del commercio su aree pubbliche alla marginalizzazione” e portando a “differenze insostenibili tra gli operatori”. Così il Presidente di Anva Confesercenti, Maurizio Innocenti, in una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ed ai membri di Governo e Parlamento.
Quella che è stata erroneamente annunciata e presentata come una norma salva ambulanti e salva Bolkestein e che avrebbe dovuto porre rimedio agli (inopportuni) interventi legislativi ed amministrativi, susseguitisi nel corso degli ultimi anni (Autorità Garante, Legge di Bilancio 2017), getta ora completamente nel caos un comparto che occupa circa 300mila lavoratori e produce un fatturato di 11 miliardi di euro, rappresentando un elemento essenziale per l’equilibrio del comparto distributivo. Anva Confesercenti sottolinea che la proroga sul rinnovo delle concessioni contenuta nella Legge di Bilancio “spacca in due il settore”. Tutti i comuni che hanno provveduto, sulla base delle normative previgenti alla proroga, a predisporre i bandi per il rinnovo delle concessioni di commercio su aree pubbliche, dovranno portare a termine le procedure avviate: è un diritto acquisito da tutti coloro che hanno regolarmente presentato domanda. Queste concessioni, così rinnovate, avranno scadenza al 2030.
Gli operatori che invece non hanno potuto partecipare al rinnovo – ora prorogato – restano invece nell’incertezza. Ma la proroga non è l’unico vulnus ai diritti degli imprenditori del settore: negativo anche il giudizio sul limite al numero di concessioni, come se chiedessero ad Esselunga di limitarsi a una manciata di punti vendita, e sul richiamo al reddito degli operatori da cui consegue che il commercio su aree pubbliche non è più una forma di libero commercio, ma attività sottoposta e condizionata allo status sociale del titolare.
Il riferimento al reddito è quanto di più aberrante si possa prevedere in materia di ‘libera impresa’, mantra in nome del quale si è dato avvio alle più sfrenate azioni liberalizzatrici. Ora invece, per il commercio su aree pubbliche, si torna al passato, al “codice Rocco” del 1931 che per gli ambulanti prevedeva il controllo da parte della Questura. Ci sono circa 100mila imprese regolari che di fatto hanno visto azzerarsi il valore commerciale del proprio lavoro, che verranno condizionate alla verifica del reddito e che saranno limitate nella propria azione di impresa: non potranno affittare l’azienda e non potranno nemmeno essere titolari di più concessioni. Una follia da cui è urgente tornare indietro: non lasceremo che il settore venga degradato e condannato alla marginalizzazione.